La pubalgia: cos’è e come si tratta?

La groin pain syndrome, o pubalgia, è una patologia che colpisce ogni anno moltissimi atleti e in grado di risultare altamente invalidante. La prevenzione, soprattutto in soggetti a rischio, riveste un ruolo centrale.
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Come comportarsi in caso di Pubalgia? In questo articolo di Andrea Simone, abbiamo parlato di Groin Pain Syndrome cercando di conoscere meglio i meccanismi che ne stanno alla base.

Abbiamo fatto chiarezza sugli aspetti che ne contraddistinguono il dolore, discusso come gestirlo e soprattutto prevenirlo, attraverso le strategie corrette.

Che cos’è la pubalgia?

 

Il groin pain (pubalgia) è un problema muscolo-scheletrico che colpisce la regione inguinale/anca/bacino (groin area), sede di numerose strutture intrinsecamente correlate.

Oltre ad avere un’enorme complessità anatomica, tale regione svolge un ruolo chiave nella trasmissione delle forze di carico tra arto inferiore e tronco durante l’esecuzione di compiti motori multidirezionali e sport specifici.

La pubalgia non è una patologia e chi ne soffre non deve abbattersi identificandosi nella sua diagnosi. Si tratta di una sindrome dolorosa della zona pubica e inguinale, da considerare tra le maggiori cause di infortunio per sportivi e non.

Quando si presenta la pubalgia?

 

Negli sport che richiedono cambi di direzione e movimenti laterali (35%), calci (29%) e salti (12%) il dolore all’inguine è molto comune (Serner et al. 2019).

Sport come l’hockey sul ghiaccio, football americano, rugby e calcio presentano un tasso più elevato di lesioni all’inguine. Inoltre, i giocatori che sono impegnati con il gesto del calciare presentano un’incidenza più elevata di groin pain.

Se si osservano i dati provenienti dal calcio professionistico, scopriamo che dal 14% al 17% di tutti i giocatori incorrono in una lesione all’inguine ogni stagione.

Come si riconosce la pubalgia?

 

La sindrome del dolore inguinale pubico sin dai primi anni ’90 è sempre stata descritta in vari modi in ambito medico e clinico: inguine dello sportivo, ernia dello sportivo, inguine di Gilmore, rottura dell’inguine , osteite pubica , dolore legato agli adduttori.

Tutto questo indica quanto sia difficile definire tale sindrome con una terminologia validata a livello internazionale; fatto che di per sè ostacola la raccolta di dati, sia in termini di prevenzione che di trattamento, causando in tal modo confusione tra gli stessi specialisti.

Nonostante l’assenza di un termine comune, ciò che resta chiaro è che si tratta di un dolore cronico dell’osso pubico o del legamento inguinale, che aumenta in particolare, dopo l’esercizio.

Appare ovvio come una terminologia uniforme sugli standard da adottare, dovrebbe contribuire a garantire studi di migliore qualità sul groin pain. (Delahunt et al., 2015).

Che cos’è la pubalgia e come si cura?

 

Sono stati fatti molti tentativi per spiegare i meccanismi fisiopatologici che causano la sindrome del dolore inguinale pubico.

Tra questi una debolezza della parete addominale inferiore, uno squilibrio tra i muscoli adduttori dell’anca (forti) e parete addominale (debole), un basso livello generale di forza, una limitata estensibilità e/o una scarsa coordinazione della muscolatura necessaria a controllare efficacemente i movimenti dell’anca.

CIò potrebbe causare instabilità funzionale, sovraccarico e danni a strutture non contrattili come tendini o legamenti. 

Una delle attuali teorie suggerisce che il dolore potrebbe anche essere esacerbato dalla compressione di uno o più nervi, come il nervo otturatore, il ramo genitale del nervo genitofemorale, il nervo ileoinguinale, il nervo cutaneo femorale laterale.

Questa compressione sembra essere causata da un gonfiore locale derivante da una debolezza limitata alla parete inguinale posteriore durante la manovra di Valsava.

Come capire se è pubalgia

 

Clinicamente la pubalgia è riconosciuta come una tendinopatia, quindi una infiammazione della zona in cui un muscolo si attacca all’osso.

I muscoli i cui tendini possono rendersi protagonisti di tale infiammazione sono:

  • gli adduttori (70-80% dei casi) ;
  • lo psoas ;
  • il retto dell’addome ;

Spesso non è facile distinguere quali di questi sono maggiormente infiammati, infatti il dolore che la persona avverte si diffonde a inguine, pube, basso ventre, testicoli e anca.

Per semplificare, possiamo dividere le potenziali cause in due gruppi, fortemente legati tra di loro: il sovraccarico “diretto” ed il sovraccarico “indiretto”.

Il sovraccarico diretto è prerogativa degli sportivi e nasce da allenamenti troppo intensi o male organizzati, oppure a causa di un’insufficiente recupero, il sovraccarico indiretto deriva principalmente dagli altri muscoli coinvolti nel problema pubalgia, ovvero quelli responsabili dell’equilibrio funzionale del bacino e della colonna vertebrale.

Infatti se tutta la muscolatura responsabile di tale zona non lavora più  bene (a causa di una eccessiva debolezza, ad esempio), si può creare un sovraccarico a livello dei muscoli adduttori anche senza particolari gesti sportivi.

 

Quali sono i fattori di rischio della pubalgia

 

Quali sono le cause della pubalgia? A volte può essere davvero difficile stabilirlo, in letteratura ne sono state individuate circa 70, un buon suggerimento sarà dunque quello di considerare:

  1. pregressi traumi a carico di bacino e/o dell’arto inferiore ;
  2. limitazioni articolari congenite e/o degenerative ;
  3. alterazioni di curva della colonna vertebrale (lombare soprattutto) ;
  4. alterazioni della muscolatura dell’addome a seguito di interventi chirurgici ;
  5. Sbilanciamenti muscolari tra muscoli addominali e adduttori (spesso più forti e tonici) :
  6. impiego di calzature non adeguate che possono modificare la dinamica della corsa ;

Ciascuno di questi fattori,  a causa dei continui traumi ripetuti dal gesto atletico, può determinare delle microlesioni e l’insorgenza di processi infiammatori che stanno alla base dei sintomi.

Quali sono i sintomi della pubalgia

 

Il principale sintomo della pubalgia è il dolore. Nelle forme lievi, chi ne è affetto racconta di un inizio subdolo di dolore diffuso in fossa iliaca e zona pubica, che si manifesta al risveglio creando fastidi durante la minzione, o all’inizio degli esercizi fisici, tendendo poi a scomparire dopo il riscaldamento.

Nelle fasi più severe, il dolore può apparire anche in modo improvviso, durante lo svolgimento dell’attività sportiva, tanto da impedirne la continuazione e rendere difficile persino la stessa deambulazione. 

Finché questi sintomi tendono a sparire con il movimento, si tratta di una leggera degenerazione dovuta a sovraccarico e rappresenta il momento giusto per intervenire ed eliminare il problema. 

 

La sintomatologia nell’atleta

 

In tutti gli altri casi, spesso quando l’atleta ha scelto di stringere i denti e ignorare le avvisaglie, si può arrivare ad un dolore acuto e persistente nella zona del pube che si fa sentire maggiormente nei momenti di sforzo intenso come calci, o  quando si compiono movimenti bruschi, cambi di direzione, tosse o starnuti.

Quando ci si trova in queste situazioni il dolore può essere così grave da influenzare o addirittura interrompere seriamente le attività sportive.

In base al grado di pubalgia diagnosticato, si può azzardare una tempistica per il recupero. Purtroppo più il grado è elevato, maggiore sarà il tempo richiesto per risolvere del tutto il problema, infatti il decorso di un grado cronico/severo è davvero molto lento e spesso snervante.                                                           

Va ricordato che nei casi più complessi è possibile ricorrere alla terapia infiltrativa locale, e raramente anche all’intervento chirurgico.

Come classificare la pubalgia

 

La pubalgia può essere distinta in tre tipologie e la sua diagnosi deve essere sempre affidata a uno specialista:

  1. Tendinopatia degli adduttori: a soffrirne sono le strutture muscolari e tendinee della zona pubica, costantemente sottoposte a sovraccarico che possono provocare infiammazione. Se questa condizione si cronicizza, può coinvolgere l’architettura della articolazione, formando delle microcalcificazioni. I tipici gesti che provocano dolore sono salire o scendere dall’auto, togliere i pantaloni. 
  2. Osteo-artropatia pubica: questa forma di pubalgia è caratterizzata da artrosi della sinfisi pubica che può essere generata da condizioni di sovraccarico come conseguenza di ipersollecitazioni croniche ripetute (in particolare in ambiente sportivo, lavorativo o per ragioni costituzionali o traumatiche). La sintomatologia si accentua durante il movimento (salire le scale, tosse, starnuti, movimenti coinvolgenti un arto che fa da perno) .
  3. Sindrome della guaina del retto femorale: è conseguente ad un trauma (di solito il calciare) che provoca una microlesione della fascia superficiale ed irritazione/compressione del nervo perforante.

Quanti gradi di pubalgia esistono?

 

Sicuramente si, e proprio in base al grado di infiammazione, è importante scegliere la via migliore per risolvere questo problema.

Grado 0: è un dolore leggero, spesso silente, che viene messo in evidenza alla palpazione, ma che non inficia minimamente la deambulazione

Grado 1: è una pubalgia, che il paziente avverte, solo quando prova a praticare lo sport, ma che passa dopo aver terminato. È il grado più sottovalutato, in quanto la maggior parte delle persone tendono a sottovalutare la sintomatologia, o ancor peggio tendono a “stringere i denti” sperando che passi da solo.

Grado 2: Il dolore persiste anche dopo la pratica sportiva, e il paziente lo avverte anche camminando normalmente. Parliamo qui di un grado importante di infiammazione che va curato immediatamente per evitare che peggiori e passi al grado successivo

Grado 3: (Tendinosi Cronica): in questo grado il paziente ha un dolore che gli impedisce anche solo di camminare. Il dolore è molto forte, e sopratutto, tende a non risolversi neanche con gli antinfiammatori. I tempi di recupero sono molto lunghi e non sempre le cure rispondono in maniera soddisfacente, limitando molto l’attività sportiva anche per mesi.

Pubalgia e gravidanza

 

La pubalgia può anche verificarsi nel corso di una gravidanza (Sindrome dell’anello pubico o Sindrome di Lacomme), in particolar modo dopo il VI mese.

Il bacino femminile deve adeguarsi alla crescita del nascituro, la sinfisi pubica subisce una progressiva diastasi sia indotta dalle modificazioni ormonali (relaxina), sia legata al progressivo adattamento delle strutture anatomiche (cause meccaniche e neuromuscolari).

I sintomi sono dolori localizzati nella regione pubica e nella parte interna della coscia, associati a mal di schiena.

 

L’origine del dolore

 

L’origine di questo dolore è da ricondurre all’aumento del peso del nascituro e al progressivo spostamento in avanti del baricentro, dall’aggiustamento in antiversione, dai movimenti in nutazione del bacino (apertura della parte inferiore del bacino), con conseguente allontanamento della superfici articolari della sinfisi pubica.

Un sollievo può essere generato dal praticare con costanza esercizi di rilassamento muscolare soprattutto in acqua, nel non mantenere per tempi lunghi la stazione eretta, nell’assunzione di una postura simmetrica delle gambe (es. durante la pratica lavorativa oppure durante il riposo notturno, posizionando un cuscino in mezzo alla gambe).

La sintomatologia tende a regredire fino a scomparire dopo qualche settimana dal parto.

I test per la pubalgia

 

Thorborg et al. nella rivista scientifica JOSPT del 2018 propongono una batteria di tests fisici per le menomazioni (impairments), la funzionalità e le prestazioni negli atleti con groin pain.

Secondo il parere degli autori, questi test dovrebbero essere utilizzati insieme ai test di provocazione del dolore, alla valutazione del range di movimento (ROM) e all’esame muscolare in termini di forza, funzione e performance.

(A) Caduta laterale del ginocchio flesso per testare il ROM dell’anca.

(B) Test di resistenza (Squeeze Test) degli adduttori per il dolore (valutato su una scala da 0 a 10) e la forza (usando un dinamometro portatile).

(C) Star Balance Excursion Balance Test per verificare l’equilibrio e la mobilità.

(D) Test di 10 metri a tempo per valutare le prestazioni nei cambi di direzione (il test prevede uno sprint di 5 m con un cambio di direzione a 75° ed un successivo sprint finale di 5 m).

Come trattare la pubalgia

 

Per la pubalgia non esistono farmaci specifici. È importante, quindi, in questa patologia più che in altre, un’accurata visita medica che vada a indagare la vera causa dello squilibrio funzionale, tuttavia solitamente, il percorso da scegliere è quello conservativo. 

Per prima cosa sono consigliati impacchi freddi e riposo. In seguito, possono risultare efficaci gli antinfiammatori anche ad uso locale (es. pomate antinfiammatorie e cerotti medicati).

Per attenuare il dolore quotidiano e ridurre lo stato infiammatorio, durante i primi 15-20 giorni (fase acuta) può essere utile sottoporsi a massaggi miofasciali, decontratturanti allo scopo di migliorare eventuali retrazioni musolari oltre ad un trattamento con elettromedicali (esistono pareri discordanti al riguardo). Tecarterapia, Tens, ultrasuoni o laser terapia e il trattamento mediante onde d’urto, sono molto usati… forse abusati. 

 

La seconda fase

 

Successivamente, è importante rieducare il muscolo alla funzione tramite esercizi di stretching delicato e rinforzo muscolare che migliori la tolleranza al carico da parte dei tendini. Un’utile accorgimento sarà quello di lavorare sulla propria postura: a questo scopo possono rivelarsi davvero utili degli esercizi con la pedana propriocettiva.

I tempi di ripresa sono dipendenti dal caso specifico, possono variare da settimane a mesi e persino l’atleta più determinato dovrà rispettarli.

Al termine della fase acuta, ovvero quando tutti i movimenti della vita quotidiana sono assolutamente fattibili, la rieducazione attiva attraverso esercizio, diventa la vera protagonista rendendo possibili obiettivi come:

  • aumento della vascolarizzazione delle strutture, per favorire la riduzione dei processi infiammatori (lavoro aerobico);
  • garantire mobilità alle strutture troppo rigide (adduttori e ileopsoas);
  • rinforzo dei muscoli troppo deboli (addominali, glutei) spesso attraverso allenamento funzionale (isometrico, concentrico ed eccentrico) volto ad aumentare la stabilità generale.

 

L’ultimo step

 

Alla fine del trattamento la maggior parte dei pazienti non è più demoralizzata ed è in grado di riprendere l’attività sportiva. Al contrario, se i risultati ottenuti con l’approccio conservativo non fossero soddisfacenti, la chirurgia diventa necessaria e risolutiva in circa il 90% dei casi. Un rientro in campo è previsto in 6-8 settimane dall’intervento.

 

L’andamento del recupero dalla pubalgia è espresso come un grafico a gradoni. Una serie di sedute sembreranno non sortire alcun risultato, poi improvvisamente, si otterrà un miglioramento costante che tuttavia si fermerà, rendendo necessari stimoli nuovi per innescarlo nuovamente.

Durante queste fasi di stallo, saranno fondamentali la gestione psicologica dell’atleta, la tenacia, la costanza e l’impegno a proseguire per innescare la fase successiva e ritornare in campo quanto prima. 

Come prevenire la pubalgia

 

Vi sono indicazioni che indirettamente possono prevenire la sintomatologia dolorosa (calzature adeguate, evitare attività sportive su superfici troppo morbide o troppo dure, ecc.) e indicazioni rieducative/riabilitative orientate al recupero di un assetto posturale corretto.

Ovviamente è molto molto difficile dare indicazioni generali sulla ripresa degli allenamenti, quando si parla di pubalgia legata ad attività sportive, non è mai facile infatti, riuscire a prevedere l’andamento del disturbo una volta che viene “messo alla prova”.

Un approccio comune a moltissime persone è sempre stato quello di fermarsi completamente finche’ il dolore non sembrava essere sparito del tutto; questa scelta in genere non si è mai rivelata appagante, non a caso numerosi studi sui problemi tendinei hanno dimostrato che stare fermi peggiora e allunga i tempi di recupero.

Le strutture si riadattano col movimento.

Il protocollo Copenhagen

 

La ridotta forza nell’adduzione dell’anca è stata identificata come fattore di rischio importante e modificabile associato ad un aumentato rischio lesioni all’inguine. Inoltre, deficit nella forza eccentrica maggiori del 20% sono stati osservati nei muscoli adduttori dell’anca tra i giocatori con groin pain.

Il rinforzo degli adduttori dell’anca può quindi giocare un ruolo fondamentale sia nel ridurre il rischio di lesioni all’inguine sia nel trattamento.

Risultati promettenti sono stati dimostrati dall’esercizio “Copenhagen” di adduzione femorale (da svolgere su entrambi i lati), attraverso il quale è stato possibile generare un’alta attivazione del muscolo adduttore lungo, nonché un notevole guadagno di forza di adduzione eccentrica.

 

Gli studi a supporto

 

In un importante studio del 2019 Harøy e colleghi hanno fatto eseguire al gruppo di intervento un programma di potenziamento dei muscoli adduttori per 2/3 volte la settimana durante la pre-season (6-8 settimane) e una volta alla settimana durante la stagione agonistica (28 settimane), semplicemente aggiungendolo al proprio consueto warm-up.

Secondo i risultati dello studio, il rischio di problemi all’inguine era ridotto del 41% nel gruppo di intervento, anche quando veniva svolta una sola serie con 15 ripetizioni a settimana.

Di seguito il protocollo dello studio ha dimostrato di prevenire le lesioni agli adduttori e il groin pain.

Un altro studio (Ishøi et al., 2016) suggerisce che l’esercizio di adduzione di Copenhagen svolto durante la stagione sportiva, con un programma di allenamento progressivo di 8 settimane ha suscitato un notevole aumento nella forza eccentrica in adduzione dell’anca (EHAD, +35,7%), nella forza eccentrica di abduzione (EHAB, +20,3%) e nel loro rapporto (EHAD / EHAB, +12,3%). 

L’adesione al programma è stata alta (91,25%) e i DOMS sperimentati dai giocatori (Delayed Onset Muscle Soreness, dolori muscolari ad insorgenza ritardata) sono stati trascurabili.

 

La review sistematica

Una revisione con meta-analisi del 2020 ha cercato di fornire implicazioni pratiche sull’esercizio di Copenhagen. Questi i punti clinici chiave: 

a) 8 settimane di esercizio, 2-3 volte a settimana, sembra essere una dose efficace;

b) il volume settimanale può variare da 9 a 90 ripetizioni e questa forbice sembra essere sufficiente per ottenere un miglioramento significativo nella prevenzione. “Il Copenhagen è un esercizio facile e utile per migliorare la forza eccentrica di adduzione dell’anca. Ciò soprattutto nei giovani calciatori e, di conseguenza, ha un effetto positivo sui fattori che influenzano il rischio di lesioni.

Per questo motivo, l’inclusione del Copenhagen nei programmi di prevenzione potrebbe essere una strategia adeguata. Infatti è in grado di ridurre il rischio di lesioni e, di conseguenza, diminuire l’incidenza degli infortuni nel calcio”.

Questi dati sono in particolar modo applicabili nel calcio. Ulteriori studi che prendono in considerazione differenti valori di durata, serie e ripetizioni, nonché differenti sport e gesti atletici, sono necessari. 

Il protocollo FIFA 11+

 

Il protocollo FIFA 11+ è stato sviluppato come un programma di riscaldamento completo atto a prevenire gli infortuni più comuni nei giocatori di calcio. Infatti Soligard ha dimostrato che il  FIFA 11+ ha ridotto del 37% gli infortuni durante gli allenamenti e del 29% durante le gare.

Sebbene una ridotta forza di adduzione dell’anca sia associata alle lesioni all’inguine, nessuno degli esercizi inclusi nel FIFA 11+ sembra mirare in modo specifico la forza di adduzione dell’anca.

Dunque, includere l’esercizio di adduzione di Copenaghen nel programma FIFA 11+ (3 volte la settimana per 8 settimane) potrebbe essere un’ottima strategia per aumentare la forza eccentrica di adduzione dell’anca e garantire una prevenzione su più fronti.

Se consideriamo altri studi che analizzano i programmi di prevenzione del groin pain, possiamo osservare riduzioni della prevalenza del 31% in quelli che includono esercizi volti al lavoro concentrico-eccentrico dell’anca, all’equilibrio e all’allenamento della core stability (Holmich et al., 2010)

Evidenze scientifiche e pubalgia

 

Negli ultimi anni la letteratura scientifica ha dato maggior identità ai problemi relativi alla groin area migliorando le conoscenze anatomiche, l’inquadramento clinico e le strategie di management conservativo.

Ad oggi però le strategie terapeutiche messe in atto nella gestione dell’infortunato sono ancora fortemente discutibili, mettendo in luce un’elevata percentuale di insuccesso e quindi facilitando altre scelte di intervento non conservativo (come ad esempio la chirurgia).

Gli studi presenti in letteratura scientifica sull’efficacia di trattamento potrebbero mettere in luce una gestione troppo selettiva e poco multi-dimensionale.

L’obiettivo deve essere invece quello di calare lo sportivo in uno scenario di riatletizzazione multi-dimensionale, analizzando nel dettaglio le sue variabili anatomiche, meccaniche, cliniche, relative alle scienze del dolore, relative al dosaggio e alla posologia dell’esercizio terapeutico. Generare un processo di questo tipo può facilitare il raggiungimento degli obiettivi finali.

Pubalgia: i punti fondamentali

 

  • Secondo una revisione sistematica, gli interventi conservativi e chirurgici presentano percentuali di ritorno allo sport molto simili.
  • Un programma attivo e supervisionato è la migliore scelta conservativa per il groin pain.
  • La chirurgia, in alcuni casi, garantisce un Return to sport più veloce, a fronte di possibili complicanze.
  • Il rinforzo degli adduttori dell’anca gioca un ruolo fondamentale in termini di prevenzione e trattamento.
  • Il programma di Copenhagen per il rinforzo degli adduttori ha mostrato risultati promettenti, con una riduzione del 41% del tasso di infortuni all’inguine.

Bibliografia

 

  • Thorborg K, Reiman MP, Weir A, et al. Clinical Examination, Diagnostic Imaging, and
  • Testing of Athletes With Groin Pain: An Evidence-Based Approach to Effective
  • Management. J Orthop Sports Phys Ther. 2018;48(4):239-249. doi:10.2519/jospt.2018.7850
  • Ulrike Muschaweck, May 2010, Sportsmen’s Groin – Diagnostic  Approach and Treatment With the Minimal Repair Technique: A Single-Center Uncontrolled Clinical Review. 
  • F. Benazzo, F. Cuzzocrea,M. Mosconi, G. Zanon, “La pubalgia del calciatore”.
  • L. Busquet, “LE CATENE MUSCOLARI VOLUME III – La Pubalgia”.

 

 

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