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La mobilità nell’atleta

La mobilità è sicuramente uno dei fattori chiave in grado di garantire elevate prestazioni, ma soprattutto di ridurre il rischio di infortuni per l'atleta.

PerformanceLab by PerformanceLab
22/04/2020
in Articoli sulle Performance
4 min read
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Si parla spesso di mobilità articolare e dell’importanza del suo sviluppo nello sport; come sappiamo esso è uno dei fattori chiave nella valutazione funzionale dell’atleta, nonché uno dei principali parametri presi in considerazione nel ridurre il rischio di infortuni.

Nel Webinar “Mobility Training”, abbiamo analizzato i vari aspetti legati allo sviluppo della mobilità e la sua importanza in relazione al miglioramento della prestazione.

Ma esattamente, cosa si intende per mobilità articolare, e quanto è utile ai fini della prestazione sportiva e della riduzione di rischio infortuni?

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Table of Contents

  • Cos’è la mobilità articolare?
    • Cosa dicono gli studi?
  • Mobilità globale o segmentale?
  • L’approccio joint by joint
    • L’approccio joint by joint nella pratica 
  • Routine mobilità articolare
  • Infortuni e letteratura scientifica: una correlazione non chiara
  • Mobilità nell’atleta: la nostra idea

Cos’è la mobilità articolare?

La mobilità articolare rappresenta un presupposto elementare per un’esecuzione qualitativamente e quantitativamente migliore, di un movimento (Harre 1976). Più interessante è forse la visione di Hahn, che definisce con l’espressione mobilità articolare (flessibilità) la capacità di utilizzare al massimo, nel modo migliore, le possibilità di movimento delle articolazioni (Hahn 1982).

Weineck, entrando più nello specifico delle attività sportive, afferma come una non sufficiente capacità di allungamento e rilassamento della muscolatura sia causa di difficoltà nell’esecuzione di un movimento coordinativamente e tecnicamente perfetto, poichè esso non potrà essere eseguito in modo ottimale dal punto di vista dinamico e spazio-temporale.

La mobilità articolare, dunque, permette all’atleta di eseguire movimenti di grande ampiezza, in una o più articolazioni , con le proprie forze o grazie a forze esterne.

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Cosa dicono gli studi?

Negli anni, molti studi in letteratura sono stati svolti per confermare (o confutare) la tesi secondo la quale una carenza di mobilità sia il fattore di rischio principale nello sviluppo di infortuni muscolari o tendineo-legamentosi in varie discipline sportive. Sebbene la letteratura non sia concorde al 100% su questa tesi, è necessario sottolineare come sicuramente una maggiore libertà di movimento consente all’atleta di essere più “funzionale”, potendo esplorare range articolari maggiori ed esprimere i propri compiti motori in maniera più varia e completa possibile.

La realtà, che molto spesso non viene analizzata negli studi, è che molto probabilmente più che la mobilità articolare in se, per un atleta sia importante possedere un certo grado di forza per ogni grado di ROM esprimibile.

Avere una mobilità, o meglio in questo caso flessibiità, fine a se’ stessa è poco utile, o atleti con un’importante lassità articolare sarebbero avvantaggiati, e sappiamo bene che non sempre è così. Ciò che conta sviluppare, è la capacità del corpo di “gestire” i vari range articolari in maniera conscia, acquisendo allo stesso tempo mobilità-stabilità-forza. Ma andiamo per ordine..

Mobilità globale o segmentale?

I diversi gruppi muscolari lavorano secondo catene muscolari, per cui l’accorciamento di un muscolo si ripercuote sull’intera catena, compromettendo il pattern di movimento (Weber, Bauman 1988, 219).

Basta questa definizione per comprendere come lo “stretching” e ancor più lo stretching settoriale di per sé non solo sia inefficace, ma potrebbe persino risultare pericoloso in quanto, non lavorando in globalità, risponde all’esigenza di “allungare” solo parzialmente una struttura che in realtà dovrebbe ragionare come un unicum; ciò è rischioso in quanto ai fini del movimento il corpo si esprimerà invece come una struttura molto più complessa, all’interno della quale i vari muscoli collaborano tra di loro per esprimere un’azione quanto più efficace ed efficiente (rispetto alle possibilità individuali) possibile.

Allo stesso tempo, l’accorciamento del singolo muscolo si esplicherà nella disfunzione di tutta la catena, e nei compensi messi in atto dalle altre per adattarsi al disequilibrio provocato dalla singola struttura.

L’approccio joint by joint

Se vogliamo in qualche maniera “segmentare” il lavoro sulla mobilità articolare, diventa allora interessante definire l’approccio “joint by joint”, reso famoso da Michael Boyle nel suo libro “Advances in Functional Training”. L’idea alla base è che le nostre articolazioni si sviluppino secondo una concatenazione di necessità: alcune richiederanno una prevalenza (non totalità!) di mobilità, e altre di stabilità.

Queste due qualità, che noi sappiamo dover essere sviluppate contemporaneamente per ogni range di movimento, definiscono le articolazioni in alternanza fra loro e avremo quindi la seguente successione:

  • Caviglia: mobilità
  • Ginocchio: stabilità
  • Anca: mobilità
  • Zona lombare: stabilità
  • Zona toracica: mobilità
  • Zona cervicale: stabilità

 

L’approccio joint by joint nella pratica 

Pur essendo una suddivisine semplicistica, rende bene l’idea dell’approccio di lavoro corretto da eseguire nello sviluppo delle qualità dei vari distretti corporei. Come precedentemente detto però, ognuna di queste articolazioni necessità un certo grado di entrambe le componenti per poter lavorare correttamente.

Il concetto chiave però è un altro: una disfunzione di uno dei segmenti corporei si ripercuote inevitabilmente su quello immediatamente successivo, o sottostante, nella catena. Una carenza di mobilità nell’articolazione della caviglia, oltre che mettere a rischio la struttura stessa, predispone ad un iper-lavoro l’articolazione del ginocchio, la quale dovrà compensare il proprio grado di mobilità, aumentandone il grado di rischio di infortunio.

La definizione di Boyle quindi, se pur non dogmatica e incompleta (non tiene conto, ad esempio, della complessità della struttura del piede che richiederebbe un discorso a parte, ma da cui non si può prescindere nella valutazione globale del soggetto), segue la richiesta di analisi “globale” dell’atleta e di azione sull’intero sistema, anziché sulle singole parti che lo compongono.

 

Routine mobilità articolare

Le 3 aree chiave che comunemente risultano più rigide e limitate sono quelle che dovrebbero essere invece dotate di maggior mobilità :

  • Caviglie: una buona dorsiflessione è necessaria per i movimenti come camminare, scale, accovacciata ecc. Caviglie bloccate = problemi a monte e a valle.
  • Anche: si tratta di una sfera e il giunto che dovrebbero possedere grande mobilità. Qui la rigidità è molto comune, e nostri stili di vita sedentari e sono la principale causa. La rigidezza in questo caso va ad influenzare molte altre regioni (ginocchio e parte bassa della schiena in particolare).
  • Spina dorsale toracica: un’altra area comunemente rigida per colpa di posture errate, si ritrova a stare abitualmente in flessione.

Saper riconoscere le disfunzioni è fondamentale, soprattutto all’inizio della stagione, nella valutazione dell’atleta, poiché ciò ci consente di mettere in atto una serie di strategie atte a ridurre, o risolvere, la problematica.

Infortuni e letteratura scientifica: una correlazione non chiara

Una piccola parentesi deve essere però fatta: ad oggi la scienza non è concorde nell’affermare come limiti da un punto di vista di mobilità e conseguenti compensi vadano ad aumentare significativamente la probabilità di infortuni.

Infatti, un’atleta funzionale sarà, nella maggior parte dei casi, non un’atleta perfettamente simmetrico, bensì un sistema che sarà riuscito a mettere in atto tutta una serie di compensi che non solo non lo predispongono ad infortuni, ma addirittura potrebbero costituire un punto di forza da un punto di schema motorio.

La suddivisione tra queste due categorie, atleta funzionale e disfunzionale, è molto sottile, e chiaramente un indizio in grado di aiutarci nella comprensione di ciò risiede nella sua storia di infortuni recente e passata.

Mobilità nell’atleta: la nostra idea

Ecco perché l’analisi dell’atleta, la valutazione funzionale , come è stato ampliamente trattato nel webinar “OHS: uno strumento per la valutazione funzionale” e una base di valutazione biomeccanica (“la biomeccanica nel calcio”) sono elementi fondamentali nel bagaglio di ogni preparatore fisico, che necessita di queste skills per operare al meglio, per la salute e il miglioramento della performance dei propri atleti.

Sarà poi importante, dopo aver effettuato una corretta valutazione, creare i programmi di intervento specifico per ciascun atleta.

La programmazione dell’allenamento terrà conto dei principi di progressione del carico, dell’intensità e soprattutto della qualità tecnica dell’esecuzione. Gli esercizi di mobilità sono efficaci per il miglioramento della prestazione in tutti gli atleti.

 

Bibliografia

  • Functional training for sport- Michael Boyle
  • Advanced in functional training for sport- Michael Boyle
  • Functional training for sport 2nd edition- Michael Boyle
  • L’allenamento ottimale- Weineck
  • Principles of sports training- Harre

 

 

 

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