Concurrent training: cos’è e quali effetti ha sulla performance?

Perchè non possiamo evitare di parlare di concurrent training nello sport? Cos'è il fenomeno di interferenza, e come evitarlo?
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Da diversi anni, il termine “concurrent training” è entrato nel vocabolario di studiosi e addetti ai lavori nel mondo dello sport. Ma cosa si intende esattamente quando parliamo di concurrent training?

Anzitutto, facciamo qualche premessa

 

Un’introduzione

 

Le varie discipline sportive presentano azioni specifiche che variano da una durata di qualche secondo, sino a diverse ore. Chiaramente, ciò influisce sul tipo di metabolismo, anaerobico o aerobico, e il tipo di forza e potenza prodotti.

A prescindere dalla durata dell’evento, in qualsiasi disciplina la preparazione fisica sarà costituita da un “mix” di allenamento di forza e metabolico (prevalentemente aerobico o anaerobico).

L’allenamento contemporaneo di forza e aerobico, o concurrent training, è quindi parte integrante del processo di preparazione di molti atleti agonisti, sia negli sport individuali che in quelli di squadra.

 

Concurrent training: gli studi di Hickson

 

Uno dei primi studi ad indagare gli effetti cronici del concurrent training sulle performance neuromuscolari è stato Robert Hickson nel 1980. Nel suo protocollo di 10 settimane (Interference of strength development by simultaneously training for strength and endurance), gli atleti hanno svolto in 3 gruppi distinti allenamenti aerobici (AT), di forza (RT), o entrambi (CT).

Lo studio di Hickson ha evidenziato una riduzione significativa dei guadagni di forza nella parte inferiore del corpo per CT rispetto RT. Questo fenomeno verrà successivamente definito come dell’interferenza. In breve, gli atleti hanno ottenuto guadagni di forza sia per CT che per RT fino alle settimane 6-7.

Successivamente però, mentre i miglioramenti della forza hanno mantenuto una tendenza lineare nel gruppo RT, il gruppo del concurrent training CT ha smesso di migliorare.

 

Alcuni appunti sullo studio

 

Nello studio di Hickson ci sono alcuni punti poco chiari. Anzitutto, gli autori non hanno riportato i dati per quanto riguarda il VO2max.

Inoltre, mentre i protocolli di lavoro per i gruppi AT e RT sono stati descritti, quelli riguardanti il concurrent training non lo erano. Ciò che sappiamo invece è che i due allenamenti nel gruppo CT erano separati solo da 2h di recupero.

Il fenomeno di interferenza descritto per il gruppo concurrent training quindi, potrebbe essere semplicemente una conseguenza del ridotto tempo di recupero tra le sessioni, e dell’accumulo di fatica cronica. Oltretutto, non conosciamo i volumi di allenamento totali svolti dal gruppo CT, e questo costituisce un ulteriore punto interrogativo.

 

Cosa possiamo concludere dallo studio

 

Il primo evidente difetto di questo studio riguarda il carico di allenamento, che probabilmente era drasticamente più alto nel gruppo CT. Ciò ha portato probabilmente a un importante stato di affaticamento che ha compromesso i potenziali adattamenti.

Nonostante ciò, altri studi hanno confermato che l’aggiunta di AT a un mesociclo RT portare ad una diminuzione in termini di adattamenti alla forza e alla potenza neuromuscolare. In effetti, una meta-analisi comprendente 21 studi ha rivelato che la potenza neuromuscolare della parte inferiore del corpo era particolarmente compromessa dopo tale regime di allenamento.

È interessante notare che quando l’AT consisteva in esercizi di corsa, l’interferenza era più pronunciata rispetto alle attività ciclistiche. Gli autori hanno ipotizzato che questi risultati potrebbero essere dovuti all’importante fase eccentrica coinvolta nella corsa. Questa potrebbe aver potenzialmente aumentato il danno muscolare e ridotto gli adattamenti di forza e potenza. Inoltre, esisteva una relazione dose-risposta, con la durata e la frequenza dell’AT associate negativamente alle prestazioni neuromuscolari.

 

Il fenomeno di interferenza nel concurrent training

 

Per spiegare il fenomeno di interferenza nel concurrent training, gli autori negli anni hanno suggerito diverse ipotesi, sia di tipo acuto che cronico.

L’ipotesi “in acuto” si spiega principalmente con la fatica residua provocata dall’allenamento aerobico. Questo infatti, ridurrà l’abilità di sviluppare tensione durante l’allenamento di forza.

L’ipotesi “cronica” invece, si spiega con i differenti adattamenti che le due tipologie di allenamento provocano da un punto di vista fisiologico.

Un aspetto interessante da sottolineare, è che questi fenomeni di interferenza sono perlopiù presenti in atleti di alto livello. Nei principianti invece, i miglioramenti procedono (quasi) di pari passo. La teoria è ovviamente coerente, e non necessita di grandi spiegazioni. E’ evidente infatti, che soggetti più allenati, richiedano allenamenti più specifici e che il “range” di errore concesso nella programmazione sia più piccolo.

 

Concurrent training: gli studi a favore

 

Contrariamente a questa ipotesi di interferenza, un rapporto pubblicato nel 2013 ha suggerito che la risposta ipertrofica non cambiava con l’aggiunta di AT a un mesociclo di RT. Nello studio “Aerobic exercise does not compromise muscle hypertrophy response to short-term resistance training”, 10 uomini moderatamente allenati hanno completato un protocollo di allenamento di 5 settimane. Questo comprendeva 15 sessioni di AT e 12 sessioni di RT. Un aspetto nuovo di questo protocollo era che ogni partecipante aveva una gamba che eseguiva solo RT mentre l’altra gamba eseguiva AT+RT.

È importante notare che la RT è stata eseguita 6 ore dopo la sessione di AT. La sessione aerobica consisteva in 40 minuti di ciclismo a una gamba a un’intensità corrispondente al 70% della potenza massima misurata durante un test incrementale.

Dopo 40 minuti, la potenza aumentava in modo che i partecipanti raggiungessero l’esaurimento entro 1-5 minuti. La RT comprendeva 4 serie di 7 estensioni concentrico-eccentriche del ginocchio su un ergometro a volano. Ai partecipanti veniva chiesto di produrre uno sforzo massimale in ogni ripetizione.

 

Cosa si evince

 

In questo studio di 5 settimane le performance non venivano alterate e anzi, il gruppo concurrent training mostrava risultati leggermenti migliori. Da questo paper inoltre, possiamo ricavare alcuni dati interessanti.

Prima di tutto, 5 settimane possono non essere sufficienti a produrre adattamenti negativi. Anche nello studio di Hickson infatti, il gruppo CT cominciava a mostrare effetti negativi solo dalla sesta settimana. Inoltre, nell’ultimo studio esposto, vi era un tempo di recupero tra le sessioni (6 ore), che potrebbe quindi diminuire o annullare l’effetto di interferenza.

Un’organizzazione sia in acuto che in cronico degli allenamenti sembra essere uno dei fattori determinanti in grado di ridurre gli effetti di interferenza, come mostrato anche da altri studi.

 

Concurrent training: quali raccomandazioni?

 

In questo articolo abbiamo preso come esempio solo gli studi che hanno analizzato gli effetti di interferenza dell’allenamento aerobico sulle performance neuromuscolari. Interessante notare che le medesime conclusioni possiamo trarle anche se i nostri obiettivi sono le performance aerobiche.

Ad oggi, ciò che possiamo dire è che:

  • La durata estrema di AT, influenza negativamente le performance di RT (e viceversa). Tuttavia, ciò è vero soprattutto se il livello degli atleti è molto elevato.
  • La manipolazione delle variabili di allenamento (durata dei protocolli, tipologia di lavoro, tempo di recupero tra le sessioni) sono fattori determinanti
  • Se l’obiettivo è neuromuscolare, è conveniente eseguire le sessioni nell’ordine RT-AT. Viceversa, se l’obiettivo è metabolico.

 

Conclusioni

 

Insomma, se è vero che non parlare di concurrent training nello sport non è possibile, è anche vero che la scienza ad oggi non è concorde sugli effetti di interferenza di due regimi di allenamento opposti.

Soprattutto per i soggetti esperti però, una corretta pianificazione e gestione dei carichi di lavoro sembra essere il parametro più importante per ottenere risultati ottimali.

Gli effetti di interferenza possono infatti essere ridotti, se non annullati, grazie ad una buona gestione dei carichi e del recupero.

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