Il microdosing nell’allenamento della forza

Che cos'è il microdosing? Possiamo applicare davvero questo concetto all'allenamento della forza nello sport di alto livello?
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Negli ultimi anni il concetto di microdosing applicato all’allenamento della forza sta prendendo sempre più campo.

Ciò è vero soprattutto negli sport professionistici dove, i calendari agonistici sempre più congestionati impongono ritmi settimanali che impediscono, in teoria, una programmazione “tradizionale” del microciclo.

L’allenamento della forza, essenziale, diventa un problema in questo contesto. Giocare ogni 3 giorni non permette, secondo le teorie classiche, un corretto smaltimento del carico di lavoro e può quindi influenzare le partite successive. Il microdosing può risolvere, più o meno in parte, questo problema. Ma come?

 

L’allenamento “tradizionale”

 

L’allenamento richiede la gestione e la pianificazione dello sviluppo atletico, l’ottimizzazione del recupero e la riduzione del rischio di infortuni. Affrontare lo sviluppo atletico generale solo nella pre-stagione e nella off-season può essere insufficiente per sostenere stagioni ad alto impegno. Inoltre, può portare a prestazioni insufficienti e a un maggiore rischio di infortuni durante la stagione.

Tuttavia, le opportunità di lavoro durante la fase agonistica possono essere scarse e richiedere un compromesso con le prestazioni a breve termine. Questo avviene in particolare negli sport con stagioni lunghe o con più competizioni settimanali.

Qui, la gestione dei carichi è complessa e c’è il rischio che carichi di allenamento elevati o eccessivi possano produrre effetti negativi di interferenza. Al contrario, carichi di allenamento bassi o insufficienti possono provocare un detraining.

 

Perchè parliamo di microdosing?

 

Il microdosing (o microdosaggio) può essere una strategia in grado di mitigare queste sfide. L’obiettivo è quello di distanziare gli stimoli di allenamento, fornendo una dose giornaliera (o di sessione) più piccola, ma totalizzando un volume settimanale simile, mantenendo alta l’intensità.

Le strategie di microdosing potrebbero anche contribuire a minimizzare gli effetti negativi di interferenza. Infatti, sessioni o allenamenti brevi possono fornire stimoli in grado di mantenere diverse capacità fisiche e abilità, limitando al contempo gli effetti negativi di interferenza e l’affaticamento eccessivo.

Il microdosing potrebbe aggiungere il vantaggio di sessioni brevi e diversificate che gli atleti potrebbero accettare più facilmente, aumentando così la compliance.

 

Ma cos’è il microdosing?

 

Il microdosing è l’erogazione di stimoli di allenamento in sessioni o allenamenti brevi, compensati da una maggiore frequenza giornaliera o settimanale. In altre parole, il carico totale all’interno del microciclo si suddivide in sessioni o allenamenti più brevi ma più frequenti, pur mantenendo alti livelli di intensità.

L’obiettivo è quello di poter gestire più facilmente l’allenamento in scenari con limitazioni di tempo (ad esempio, orari congestionati, viaggi). Nell’arco di almeno 6-32 settimane, le strategie di microdosing dell’allenamento della forza sembrano efficaci almeno quanto quelle tradizionali.

Sebbene il carico giornaliero o della sessione sia ridotto, il carico settimanale può rimanere lo stesso. Su una scala temporale più ampia (cioè la settimana) quindi, il concetto è decisamente discutibile.

 

Microdosing o allenamento distribuito?

 

Negli esempi già citati sugli effetti di 6-32 settimane di microdosing dell’allenamento di forza, i programmi erano a volume equiparato. Di conseguenza, il volume di allenamento settimanale era lo stesso, anche se la distribuzione era differente. Anche l’intensità era la stessa. Pertanto, nonostante la distanza tra gli stimoli, alla fine dei microcicli e dei macrocicli si raggiunge lo stesso volume di allenamento.

Visto in quest’ottica allora, si tratta semplicemente di pratica distribuita, una strategia di lavoro già ben consolidata. Il microdosing, dovrebbe invece riferirsi alla dose minima che sviluppa (o almeno mantiene) le capacità o le abilità condizionali. Stiamo parlando quindi della dose minima adattiva, ossia una dose molto bassa che induce comunque gli effetti previsti.

Inoltre, i sostenitori del microdosing spesso manipolano la distribuzione del carico e la frequenza, trascurando il volume totale, l’intensità, la complessità, la monotonia, l’ordine/sequenza, la tempistica della presentazione dell’esercizio e altri parametri rilevanti.

 

Come definire le soglie “allenanti”?

 

Per parlare di microdosing, dobbiamo allora definire le soglie quantitative per ogni parametro e come possono essere stipulate e valutate.

Nell’uso tradizionale del microdosing, non è chiaro in quante sessioni settimanali si debba suddividere lo stimolo dell’allenamento di forza perché si possa considerare tale. Come dovrebbero essere definite queste soglie per le combinazioni di più parametri?

Naturalmente, è probabile che la dose minima di adattamento sia specifica per ogni individuo e che cambi nel tempo. In caso contrario, si può osservare un plateau (o addirittura una diminuzione) dell’adattamento. Inoltre, secondo il principio di specificità, l’orientamento del carico e la modalità di esercizio riflettono l’obiettivo del carico e sono il principale motore dell’adattamento dell’allenamento.

 

Si può parlare di microdosing nello sport?

 

In base alle premesse fatte, la definizione di microdosing nello sport è più complessa di quanto sembri. Oltre ai problemi di tipo generale come volumi, intensità, c’è anche quello della distribuzione. Ad esempio, dovremmo cercare di capire come le strategie di microdosing si inseriscono nella sessione di allenamento complessiva.

Dovrebbero essere eseguite come parte del riscaldamento, come frammenti tra gli esercizi all’interno della sessione di allenamento principale o dopo la sessione principale? Certamente compliance e logistica sono due elementi fondamentali in questa scelta. Inoltre, si potrebbe svolgere le sessioni di microdosing come “spuntini di movimento” fuori dall’allenamento, distribuiti nell’arco della giornata.

Passando alla scala settimanale, è legittimo chiedersi se il microdosing generi meno fatica accumulata lungo il microciclo rispetto alle dosi “normali” quando si equipara il volume o l’intensità. Su tempi ancora più lunghi (ad esempio, diverse settimane o mesi), l’efficacia e la sostenibilità delle strategie di microdosing sono discutibili, così come la loro compatibilità con il principio del sovraccarico progressivo e dello sviluppo atletico. E se questo è inevitabile nello sport professionistico, dovremmo comprendere le conseguenze per i giocatori che si impegnano in strategie simili per anni di seguito.

 

Cosa fare?

 

I suggerimenti che seguono devono essere presi con cautela, data la fragilità delle basi su cui poggiano. Non essendoci basi scientifiche definitive, sarà importante che gli allenatori dialoghino con gli atleti e siano in grado di adattarsi ai feedback forniti da essi. Si dovrà procedere inizialmente per tentativi, cercando di parlare con gli atleti per capire le loro reazioni e sensazioni immediate e ritardate. Ciò potrebbe anche fornire riferimenti individualizzati.

Per gli sforzi massimali, Il microdosing dovrebbe probabilmente concentrarsi sulla riduzione del volume giornaliero e sull’aumento della frequenza settimanale. Invece, per gli sforzi non massimali si potrebbero tentare più combinazioni di parametri di carico.

E’ importante ricordarsi, che il microdosing non deve essere il sinonimo di “pratica distribuita”. Bensì, dovrebbe seguire il principio di minima dose adattiva.

 

La cruda verità.. forse

 

La cruda verità, tuttavia, è che non conosciamo le singole soglie che determinano cosa sia effettivamente una dose minima adattiva, quali parametri di carico debbano essere considerati all’interno del concetto e come interagiscano.

Finora non abbiamo una definizione chiara di cosa sia una microdose, tranne, forse, che non dovrebbe essere il carico massimo tollerabile o recuperabile. Finché non avremo una migliore comprensione di come funzionano le relazioni dose-risposta, forse dovremmo evitare di usare indiscriminatamente termini come “microdosing”.

Nel caso della semplice distribuzione degli stimoli nell’arco della settimana, dovremmo continuare a fare riferimento al concetto preesistente di pratica distribuita. Prima di fare affermazioni più audaci, sono necessarie prove concrete.

 

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