Le catene miofasciali

Comprendere cosa siano le catene miofasciali ci aiuta ad avere una visione del corpo come sistema complesso, governato da un'interazione continua fra i vari compartimenti, i quali non possono essere analizzati in maniera separata l'uno dall'altra, ma come continuum funzionale.
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Le catene miofasciali possono essere considerate un “Continuum tridimensionale di tessuti connettivi che permeano il corpo, consentendo a tutti i sistemi corporei di operare in modo integrato.” (Adstrum et al. 2017).

Nell’articolo di Andrea Simone abbiamo approfondito cosa sono le catene miofasciali in termini anatomici, posturali e funzionali.

Abbiamo affrontato il significato di dolore fasciale e come contestualizzarlo in base ai riferimenti scientifici più recenti, inoltre abbiamo visto come poterci preparare all’allenamento, anche attraverso alcuni suggerimenti pratici.

Cenni storici sulle catene miofasciali

 

Prima di conoscere le catene miofasciali, gli antichi anatomisti, hanno sempre descritto il sottocute come una struttura formata da uno strato adiposo e uno carnoso. Al di sotto di questi, vi era la “membrana muscolorum communis”. Questa è la struttura legata ai muscoli.

Solo verso la fine del diciannovesimo secolo, Camper, Colles e Scarpa, studiando la formazione di ernie inguinali, dimostrarono la presenza di uno strato fibroso nell’ipoderma che definirono “fascia”.

Nel 2006 in seguito alla dissezione di alcuni cadaveri in laboratorio, Thomas Myers ha dimostrato l’esistenza delle connessioni, o catene miofasciali, riuscendo a sezionare e isolare la rete fasciale e connettivale dai tessuti molli circostanti.

Secondo Myers la muscolatura non è un singolo apparato articolare, ma un’unione di fasce estese longitudinalmente in tutto il corpo che operano sinergicamente definendo postura e movimenti.

 

Una definizione recente di catene miofasciali 

 

Una definizione più recente, del 2019, descrive la fascia come un tessuto che contiene caratteristiche in grado di rispondere a stimoli meccanici, di supportare, dividere, penetrare, nutrire e collegare tutte le regioni del corpo.

Le catene miofasciali forniscono inoltre un ambiente che consente a tutti i sistemi del corpo di svolgere importanti funzioni architettoniche e strutturali, neurologiche, di trasmissione della forza biomeccanica, morfogenesi cellulare e trasmissione del segnale” (Schleip et al.).

Composizione e caratteristiche della fascia

 

La fascia è universalmente considerata tessuto connettivo ricco di fibroblasti e le sue fibre di collagene presentano proprietà fisiche (elasticità, assorbimento, quantità) differenti nelle diverse direzioni.

L’acqua è la componente essenziale per le fibre di collagene, svolgendo funzioni di trasporto di elementi nutritivi e favorendo reazioni bio-chimiche.

Essa unita all’acido ialuronico, permette alle fibre di allungarsi ed accorciarsi. Se questa sostanza passa dalla forma liquida (SOL) a quella densa (GEL), lo scorrimento interfibrillare viene compromesso, modificando la sua viscoelasticità e generando dolore.

 

Le catene miofasciali superficiali e profonde

 

Stecco C. et al. (2015) individuano catene miofasciali superficiali e profonde. Mentre la prima viene intesa come uno strato fibroso che conferisce integrità alla cute e supporto alle strutture sottocutanee permettendone il normale scivolamento, la fascia profonda si riferisce agli strati densi e fibrosi che interagiscono con il sistema muscolare.

La stretta integrazione delle catene miofasciali del nostro organismo va sempre tenuta presente.

I muscoli che operano all’interno della rete fasciale seguono la trama del tessuto connettivo e formano linee tracciabili nella miofascia.

La loro elasticità dipende da quella dei muscoli vicini ed è influenzata da due fattori: uno strutturale-fisico-fasciale legato alle fibre, e uno nervoso (reclutamento, sincronizzazione, coordinazione).

I modelli proposti fin qui, prevedono che ogni abitudine posturale, sforzo, tensione, compensazione, oltre alla maggior parte dei movimenti, siano distribuiti lungo delle linee fasciali. Inoltre, eventi particolarmente stressanti in una regione, possono provocare una reazione a distanza.

 

Il ruolo delle catene miofasciali 

 

Le catene miofasciali hanno il compito di collegare i muscoli attraverso sequenze neuro motorie permettendo movimenti globali.

Inoltre, hanno il compito di informare costantemente il sistema nervoso riguardo all’orientamento dei segmenti corporei nello spazio, in termini di direzione e velocità.

Ciò avviene grazie ad un sistema di stiramento-accorciamento.

 

Distinguiamo le catene miofasciali

 

Tramite connettivo, i muscoli sono strutturati in lunghe catene miofasciali, ciò spiega come la tensione di un distretto influenzi anche altri e permetta a tutti i sistemi corporei di lavorare in modo integrato.

Il primo ad individuare le interazioni delle varie parti del corpo umano come una globalità, fu Mezieres, seguito poi da Busquet, da tutta la scuola tedesca e di Padova.

E’ stato però Myers, nei primi anni duemila, ad individuare concatenazioni, definite linee, per il mantenimento della postura. Infatti vi sono due connessioni miofasciali, che chiama linee funzionali, per le gestualità sportive; e una profonda frontale, collegata alla respirazione diaframmatica.

Nello specifico analizziamo le varie catene miofasciali nei prossimi paragrafi.

 

Le catene miofasciali: superficial back line

 

Questa costituisce la madre di tutte le catene miofasciali. Scorre posteriormente al corpo, influendo su postura e movimenti sul piano sagittale.

I tendini dei flessori delle dita e la fascia plantare sono in continuità con la copertura connettivale che si inserisce nel tendine d’Achille. I tendini di bicipite femorale e semimembranoso, da una parte sono interconnessi fascialmente con quelli del gastrocnemio formando una struttura a “nodo quadro”, dall’altra sono in continuità con il legamento sacrotuberoso.

La fascia sacrolombare e i muscoli erettori della colonna, collegano il sacro con la cresta occipitale; da qui la linea termina sul bordo frontale del sopracciglio. Perciò la sua funzione peculiare della catena miofasciale “LSP” è quella di supportare costantemente il corpo nella completa estensione, garantendo verticalità, opponendosi quindi alla sua tendenza a curvarsi.

 

Le catene miofasciali: lateral line 

 

La catena miofasciale della lateral line riveste ciascun lato del corpo partendo dal piede, proseguendo esternamente alla caviglia e salendo lateralmente fino a gamba e coscia.

Continua poi lungo il tronco fino ad inserirsi in prossimità dell’orecchio.

Infatti la sua funzione è quella di bilanciare le forza provenienti da altre catene. La Linea partecipa ai movimenti di flessione laterale del tronco su piano frontale, abduzione d’anca ed supinazione plantare.

 

 

 

Superficial front line

 

Decorre dall’estremità distale delle dita dei piedi ai lati del cranio. Questa catena miofasciale si può suddividere in una parte inferiore che collega le dita dei piedi alla pelvi e in una parte superiore, che decorre dalla pelvi al capo.

La sua funzione posturale è di bilanciare la Linea Superficiale Posteriore e proteggere le parti molli e più delicate situate nella parte anteriore del corpo umano grazie alla forza tensiva della miofascia.

Dal punto di vista motorio la LSF, è invece responsabile dei movimenti di flessione del tronco e delle anche, estensione delle ginocchia e flessione dorsale delle caviglie.

 

 

La deep front line

 

Si trova interposta tra le catene miofasciali delle Linee Laterali, la Linea Superficiale Frontale e la Linea Superficiale Posteriore. Inoltre, è circondata dall’elica delle Linee a Spirale.

Se confrontata con le linee prima analizzate, la LFP ha una particolarità, possiede un vero e proprio volume coprendo uno spazio tridimensionale e non una semplice linea di tensione.

Ha inizio nella pianta del piede, decorre posteriormente a tibia e perone, dietro all’articolazione del ginocchio e lungo il margine mediale della coscia.

Qui prosegue verso l’alto seguendo il decorso dei muscoli adduttori,  psoas, iliaco, pettineo e quadrato dei lombi.

Lo psoas e il quadrato dei lombi si connettono direttamente al diaframma, che intimamente legato al pericardio mediante il tendine centrale. Dal pericardio infine, la fascia prosegue verso l’alto connettendosi a laringe e faringe fino ai muscoli masticatori e della lingua.

Le catene miofasciali: la spiral line 

 

La funzione della spiral line è quella di avvolgere il corpo in una doppia spirale che aiuta a mantenere il bilanciamento tra tutti i piani. Questo permette di mediare movimenti a spirale, torsioni, spostamenti laterali e rotazioni del corpo.

Inoltre ha il ruolo fondamentale di collegare l’arco plantare con l’angolo pelvico, stabilizzando e sostenendo il ginocchio e il fianco nella deambulazione.

 

 

 

 

Arms line

 

Si tratta di quattro meridiani, o catene miofasciali che decorrono dallo scheletro assiale al braccio e alla mano, rispettivamente fino a pollice, mignolo, palmo e dorso della mano.

Nonostante questa semplice distinzione, presentano tra loro innumerevoli incroci e connessioni miofasciali per consentire il controllo, la stabilizzazione e la mobilità ai segmenti corporei di braccio, avambraccio e mano.

Le immagini sono tratte dal libro di Thomas Myers, Anatomy Trains. Myofascial Meridians for Manual & Movement Therapists, Churchill Livingstone, 2013

Revisioni della letteratura e considerazioni teorico-pratiche sulle catene miofasciali 

 

Nel 2016 Wilke et al. hanno indagato sei catene miofasciali di Myers mostrando forti evidenze sulla continuità delle strutture che le componevano.

Infatti la Superficial Back Line , Back Functional Line e Front Functional Line sono altamente interconnesse. Altre evidenze più moderate riguardavano la Spiral Line e la Lateral Line. Non c’è evidenza per la Superficial front line.

Le conclusioni di questo studio hanno un’importante rilevanza clinica. Difatti, si afferma come l’esistenza di queste connessioni miofasciali potrebbe spiegare il fenomeno del dolore riferito. Al contempo, può fornire delle solide basi per estendere il focus diagnostico e terapeutico oltre la singola struttura interessata dal dolore.

Una considerazione anche sulla lingua. Essa è in rapporto con l’apparato muscolo scheletrico e poggiandosi sullo spot palatino (ricco di esterocettori) può influenzare la postura e il rendimento prestativo (Bordoni et al).

Qual è il rapporto tra dolore e catene miofasciali?

 

La fascia è un tessuto plastico e malleabile ma, allo stesso tempo, anche elastico che ci permette di percepire il movimento e uno stiramento fuori dalla fisiologia. All’interno delle catene miofasciali vi sono recettori con funzione bimodale. Meccanorecettori per il movimento e la propriocezione e algorecettori. Questi ultimi si attivano se stirati, segnalando una disfunzione.

Quindi il dolore è un elemento chiave per la salvaguardia del corpo e in base alla sua localizzazione può aiutarci a capire in che modo intervenire per attenuarlo.

 

Le capacità meccano-sensoriali 

La capacità meccano-sensoriale delle catene miofasciali è implicata in molte malattie come la cervicalgia cronica, mal di schiena, spalla congelata e sindromi da intrappolamento del nervo.

Danni al sistema miofasciale comportano una significativa riduzione delle performance sia per le attività amatoriali che di alto livello.

Al fine di prevenire gli infortuni e di migliorare la performance atletica sono stati condotti studi sull’adattamento dinamico delle catene miofasciali al carico meccanico e sulle sue variazioni biochimiche.

L’avanzamento in questo campo richiederà uno sforzo coordinato di ricercatori e clinici che uniscano la biomeccanica all’esercizio terapeutico con tecniche di valutazione migliorate.

Allenamento della fascia: consigli pratici

 

Il preparatore fisico, deve considerare i muscoli come circuiti di continuità e sinergia. E’ charo come attraverso le catene muscolari, e quindi delle catene miofasciali, focalizzandosi sulla globalità del movimento, egli potrà agire per migliorare la funzionalità del gesto tecnico.

Le catene muscolari si muovono secondo un sistema di “dipendenza interregionale” e diversi studi scientifici avvalorano l’ipotesi di allenarle.

  • Fascia plantare e sit-and-reach test (Grieve et al. 2015);
  • Ischiocrurali e ROM cervicale (Hyong e Kang 2013);
  • ROM caviglia e atteggiamento posturale della testa (Hyong e Kim 2012);
  • ROM caviglia condizionato da ginocchio e anca (Mitchell et al. 2008);
  • Collo e Gomito (Berglundental 2008);
  • Scapola e Collo (Shannonetal. 2011)

 

Cosa dobbiamo allenare?

 

Risulta indispensabile allenare la linea superficiale posteriore. Estensioni su hyperextension, spinal bridge, la straddle planche e la maggior parte delle progressioni riguardanti le trazioni, sono tutti esercizi a corpo libero fortemente suggeriti.

Anche esercizi che prevedono l’uso di Kettlebell, vedi ad esempio deadlift, swing, clean, snatch, o del bilanciere come rematore, stacco da terra, squat, se eseguiti con qualità, possono contribuire a condizionare la linea superficiale posteriore.

Non va dimenticata la mobilità. Infatti, in alcune routine si inizia alternando posizioni di elevated seiza e squatted seiza con un minuto di calf per i polpacci.

Ciò al fine di liberare la resistenza del tibiale anteriore, seguiti dal curled seiza dove inizia il vero e proprio allungamento sulla fascia plantare, sul tendine d’achille e solitamente del polpaccio.

Fondamentale sarà un allungamento dei femorali da in piedi o posizione di pike per circa due minuti. Il Pike consiste nel sedersi a terra a gambe tese, mantenendo capo e busto in linea, con lo sguardo alla tibia. Inizialmente cercando di toccare la punta dei piedi con le mani, in seguito provando a toccare le tibie con il viso.

Infine un altro stretch utilizzato è il Jefferson curl che se eseguito con sovraccarico, è una delle metodiche più efficaci per tutta la linea posteriore. Infatti, permette di rinforzare e preparare all’imprevisto anche i piccoli muscoli attorno alla colonna. Purtroppo esistono opinioni contrastanti riguardo al suo utilizzo, il consiglio come sempre, è quello di provare.

Take home message: le catene miofasciali

  • L’essere umano per vivere in modo confortevole attua meccanismi di flessione, torsione, inclinazione. Riduce la mobilità di un segmento (dove c’è un malfunzionamento) e permette ad altri muscoli (appartenenti alla stessa catena o meno) di intervenire per aiutare “l’anello debole”.
  • Si prendano in considerazione le relazioni dei visceri con i muscoli mediante connettivo. Infatti il muscolo diaframma, connesso al fegato attraverso la capsula di Glisson (già correlata al duodeno, allo stomaco e all’esofago) è il direttore d’orchestra della respirazione e interviene regolando tutte le connessioni fasciali.
  • Modelli che rappresentano il corpo umano attraverso il continuum delle catene miofasciali si basano su concetti validi ma che, non includono molte sfumature del soggetto vivo. Perciò, diventa necessario studiare come l’istologia della fascia cambi in base all’età, in base all’assunzione giornaliera di farmaci e come queste variabili possano influenzarne l’adattamento.

Bibliografia e sitografia

 

  • https://www.spine-center.it/catene-miofasciali.html
  • https://www.integrazionefasciale.it/origini/thomas-myers/
  • Biewener AA, Daley MA (2007) Unsteady locomotion: integrating muscle function with whole body dynamics and neuromuscular control. J. Exp. Biol. ;210:2949–2960
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