L’utilità del Q-Collar nel calcio professionistico

Cos'è il Q-collar? In che modo è in grado di prevenire il rischio di traumi cranici nello sport?
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Durante la recente Coppa del Mondo femminile in Australia e Nuova Zelanda, in molti avranno sicuramente notato un particolare accessorio attorno al collo di alcune calciatrici, tra cui la centrocampista canadese Quinn e la costaricense Rocky Rodriguez, il Q-Collar.

Il Q-Collar è un dispositivo ideato per prevenire le lesioni cerebrali e la CTE (encefalopatia cronica traumatica) negli sport di contatto.

Il Q-Collar è stato inventato dal dott. David Smith, è prodotto dall’azienda Q30 Innovations ed è acquistabile al prezzo di 180 euro. Al momento è diffuso nel football americano, nelle arti marziali, nell’hockey su ghiaccio e nel basket.

Il dispositivo, imitando il meccanismo presente nei picchi per proteggere il loro cervello, esercita una leggera pressione sui muscoli del collo e ne aumenta il flusso sanguineo creando un “airbag” naturale che limita il movimento cerebrale all’interno del cranio a seguito degli impatti di gioco. Scopriamone l’utilità in questo articolo di Simone Fossà.


Il rischio di traumi alla testa nel calcio

 

Il motivo della diffusione del Q-Collar anche nel calcio professionistico deriva dalla crescente preoccupazione per le lesioni cerebrali.

Queste lesioni sono causate da stress biomeccanici alla testa e possono comportare un deterioramento funzionale e deficit neurologici temporanei [Beidler E. et al., 2021].

Il calcio è uno sport ad alto rischio, nei college americani è secondo solo al football americano per quanto riguarda i traumi cranici, rappresentando il 5% degli infortuni totali in una stagione [Hootman J. et al., 2007].

Un secondo studio realizzato sempre tra i calciatori delle scuole superiori americane ha stimato oltre 50.000 traumi cranici ogni anno [Gessel L. et al., 2007].

Più recentemente si è stabilito che le lesioni alla testa e al collo rappresentano tra il 4% e il 22% di tutti gli infortuni che avvengono nel calcio professionistico, con un tasso di 1,7 per 1000 ore di gioco [Indharty RRS. et al., 2023].

I traumi cranici dipendono dai colpi di testa?

 


Tradizionalmente si pensava che i traumi cranici nel calcio fossero causati da collisioni tra giocatori. Ciò ha portato all’adozione di regolamenti più rigorosi rispetto a gomitate, falli da gioco pericoloso e contatti testa a testa.

Tuttavia ricerche più recenti hanno suggerito che quasi un terzo di questi infortuni si verificano dopo che un calciatore colpisce volontariamente la palla con la testa.

Ciò preoccupa. Infatti, mette sotto accusa un fondamentale della tecnica calcistica individuale, utilizzato fino a 800 volte all’interno di una singola stagione a livello professionistico [Matser JT et al., 1998].

Pochi giorni prima dell’apertura della Coppa del Mondo femminile, uno studio della Football Association inglese ha testato oltre 450 ex calciatori inglesi professionisti.

Si è rilevato che «il rischio di deterioramento cognitivo aumenta con la frequenza cumulativa dei colpi di testa sia in partita che in allenamento durante la carriera professionale di un calciatore»  [Povall Macnab T. et al., 2023].

Il rischio di malattie neurodegenerative è risultato essere più alto per i difensori (5 volte) e più basso per i portieri (1,83 volte) rispetto alla popolazione di controllo.

Infine un responso simile è emerso da un secondo studio, questa volta su ex calciatori della massima divisione svedese [Ueda P. et al., 2023].

Questi giocatori presentavano un rischio significativamente maggiore di sviluppare malattie neurodegenerative rispetto al resto della popolazione (in particolare il morbo di Alzheimer). I più a rischio erano i giocatori di movimento.

I risultati di questi studi scientifici giustificano l’incremento di attenzione verso i traumi cranici nel calcio e stanno portando all’adozione di metodi preventivi, tra cui i dispositivi come il Q-Collar.

 

Le calciatrici sono più a rischio di traumi cerebrali?

 

Le donne, in particolare, sembrano essere più vulnerabili dei colleghi maschi a causa delle differenze anatomiche del cervello, della minor muscolatura del collo e degli squilibri ormonali dovuti al ciclo mestruale.

Secondo il British Journal of Sports Medicine le calciatrici hanno infatti più probabilità di subire lesioni cerebrali, tanto che per ogni 1.000 ore di gioco si verificano circa 1,5 traumi cerebrali rispetto a 1,0 per gli uomini [R W Dick, 2009].

Anche le commozioni cerebrali causate dal contatto della testa con il pallone sono molto più comuni nelle calciatrici (adulte e adolescenti) piuttosto che negli uomini [R W Dick, 2009].

Questo il motivo per cui il Q-Collar è al momento più diffuso nel calcio femminile rispetto a quello maschile.

 

Il Q-Collar protegge dai danni cerebrali?

 


L’utilizzo del Q-Collar sia stato approvato nel 2021 dalla Food and Drug Administration (FDA). Esso è adottato da sempre più professionisti dello sport. Tuttaviam non tutti gli studiosi concordano sulla sua utilità come misura protettiva.

Innanzitutto la stessa FDA precisa che «i dati non dimostrano che il dispositivo prevenga commozioni cerebrali o gravi lesioni alla testa». Aggiunge però che «nessun evento avverso significativo è stato associato all’uso del dispositivo» e che «i probabili benefici superano i probabili rischi».

Cosa afferma la letteratura sul Q-Collar?

 


In un articolo sul New York Times, il fisiologo James Smoliga si è invece dichiarato scettico sul Q-Collar dubitando degli studi clinici. Inoltre sostiene la mancanza di misure clinicamente validate delle lesioni cerebrali e la non corrispondenza tra i risultati attesi e quanto effettivamente riportato.

Inoltre, Smoliga ha suggerito che chi indossa il Q-Collar svilupperebbe un falso senso di invulnerabilità prendendosi maggiori rischi, come il tornare a giocare troppo presto dopo una lesione cerebrale.

In definitiva, non sembra ancora essere pienamente accertata l’utilità del Q-Collar nella riduzione del rischio di lesioni cerebrali.

Il fatto che se ne parli però è frutto di una generale presa di consapevolezza dell’importanza di soluzioni innovative che aiutino a prevenire e garantire la sicurezza degli atleti.

Come prevenire i traumi cerebrali nel calcio?

 


Per mitigare i potenziali rischi per la salute e la demenza dei calciatori, la Football Association ha approvato nel 2022 la rimozione dei colpi di testa intenzionali nelle partite delle categorie Under 12.

Effettivamente un’opinione diffusa tra gli studiosi è la necessità di modificare i regolamenti. Si invitano gli arbitri ad estrarre più cartellini rossi in caso di collusioni pericolose tra gomito e testa dell’avversario.

Il tasso di questi incidenti sembra effettivamente essere diminuito dopo i primi inasprimenti delle regole [Beaudouin F et al., 2019] ma, come già detto, una delle cause più comuni deriva dall’impatto con il pallone dopo un colpo di testa volontario.

Eliminare il colpo di testa dal calcio?

 


Per questo motivo alcuni propongono addirittura di eliminare il colpo di testa nel gioco del calcio, anche se nel 2020 si è rilevato che tale divieto, sperimentato in partite di bambini dai 10 ai 13, non serve a a ridurre l’incidenza di traumi cranici in questa popolazione [Lalji R. et al., 2020].

Anche la fisioterapista dell’Università di Sidney, Kerry Peek, è convinta che la chiave per ridurre i rischi di lesioni cerebrali nel calcio non sia vietare i colpi di testa ma cambiare l’insegnamento del calcio a partire dai piccoli atleti.

Sulla rivista Sports Medicine [Peek K. et al., 2023], ha suggerito alcune strategie pratiche: stimolare al mantenimento della palla a terra piuttosto che in aria, giocare su campi ridotti, incoraggiare il possesso palla, battere calci d’angolo corti e effettuare le rimesse laterali con i piedi.

Ciò migliorerebbe la padronanza tecnica della palla e nello stesso tempo eviterebbe lo stravolgimento del gioco dovuto al divieto dei colpi di testa.

 

Alternative all’eliminazione del colpo di testa

 


Un altro approccio interessante è quello condotto da Matt Whalan (Università di Wollongong) e Rob Duffield (Università di Sydney). Questo si basa su un framework dedicato a giocatori e allenatori per istruirli a un corretto posizionamento del corpo durante i colpi di testa.

In effetti l’insegnamento della postura corretta come metodo preventivo è suggerito da numerosi studiosi. Si è infatti riscontrato che una corretta tecnica del colpo di testa riduce l’incidenza dei traumi cranici [Quintero LM. et al., 2020].

Inoltre, tra le capacità individuali utili a prevenire tali rischi vi sono:

  • le prestazioni visive
  • il comportamento oculomotorio
  • la capacità di anticipazione della traiettoria del pallone.

Pertanto, l’addestramento visivo può essere un altro metodo utile in ottica preventiva [Kung SM. et al., 2020].

Altre strategie consigliate consistono nell’eseguire programmi di rafforzamento del tratto cervicale dei calciatori [Jeffries KK. et al., 2020]. Vi sarebbe una correlazione tra forza del collo e riduzione del 5% delle lesioni cerebrali traumatiche lievi nei giovani giocatori americani [Baker M. et al., 2019].

Più frammentata è la posizione della comunità scientifica riguardo l’efficacia di dispositivi protettivi come lo stesso Q-Collar o i copricapi.

Alcuni ne avvalorano l’utilizzo [Tjønndal A. et al., 2021]. Essi sostengono che riducano l’accelerazione della testa durante gli impatti ad alta velocità [Caccese JB. et al., 2016]. Altri invece negano la loro efficacia [Cooney NJ. et al., 2022]. Infatti, avvertono che l’utilizzo di copricapi può incoraggiare un gioco imprudente [Makovec Knight J. et al., 2021].

Uno studio condotto dal medico dello sport Mark Niedfeldt ha concluso che i copricapi potrebbero non ridurre l’impatto ma contribuirebbero comunque a diminuire la gravità delle collusioni [Niedfeldt MW., 2011].

Conclusione

E’ bene ricordare che la prevenzione non riguarda solo l’attrezzatura, ma anche la formazione dei giocatori, degli allenatori e del personale medico.

Con  consapevolezza,  ricerca e l’implementazione di soluzioni preventive, è possibile fare progressi significativi e rendere il calcio e altri sport più sicuri.

Simone Fossà-preparatore atletico professionista

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