Gli infortuni nel calcio sono sempre più frequenti. Negli ultimi anni, l’interesse verso la valutazione dell’intensità dei carichi di allenamento è aumentato fra gli addetti ai lavori.
In maniera particolare, la ricerca si è focalizzata principalmente sullo sviluppo di nuove metodologie, analisi ed indici che possano migliorare il monitoraggio. Ciò dovrebbe garantire un buon livello di performance, riducendo al minimo l’incidenza di infortunio.
In questo articolo sull’Incidenza degli infortuni, Carlo Catanzano, preparatore fisico ci guiderà all’interno della sua tesi dove ha trattato l’argomento del Carico di allenamento e della riduzione del rischio di infortuni.
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Il training load negli infortuni
L’obiettivo che deve avere un preparatore fisico deve essere quello di gestire una frequenza, un volume e un’intensità di allenamento. Ciò consente di somministrare i giusti stimoli per migliorare la performance di squadra.
La combinazione di tutte queste variabili è chiamata in maniera generale “carico di allenamento”.
Banister ha analizzato a livello fisiologico i carichi di allenamento e ha presentato il modello della Fitness-Fatigue. Secondo questo modello differenti stressor inducono differenti risposte fisiologiche adattative sulla performance.
L’allenamento produce due risultati sulla performance: l’incremento della fitness, (adattamento positivo) e l’incremento della fatica (adattamento negativo)(L.Z.F. Chiu et al. 2003).
L’intensità e la durata degli effetti di fatica e fitness dipendono dallo stimolo e dai mezzi e metodi allenanti con cui l’atleta è stato stimolato.
Gli infortuni nel calcio
Gli infortuni sono uno dei principali problemi che i giocatori di calcio, o comunque la maggior parte degli atleti, devono affrontare durante la loro carriera sportiva (Ekstrand J et al. 2011).
Ad esempio, in uno studio del 2014, riguardante il calcio, è stato stimato che durante una stagione completa, una squadra di calcio U-19 potrebbe subire un infortunio con incidenza di 4,40 infortuni/1000 h, causando una diminuzione delle prestazioni sportive e una perdita finanziaria elevata per il Club stesso (Tourny C et al. 2014).
In questo senso, il costo medio di un giocatore di una prima squadra in un team di professionisti che subisce infortunio, e sta fermo per 1 mese, è calcolato per circa €500.000 (Ekstrand J. Et al. 2013).
L’incidenza degli infortuni
Nel 2016 è stata pubblicata una systematic review, la quale ha cercato di analizzare l’incidenza di infortuni sia in calciatori maschi professionisti che giovani calciatori d’élite (Daniel Pfirrmann et al. 2016).
Si è potuto vedere come l’incidenza degli infortuni varia in un range che va tra 2 e 19,4 infortuni ogni 1000 ore di esposizione.
Per quanto riguarda le partite, l’incidenza degli infortuni oscilla tra 9,5 e 48,7 ogni 1000 ore di partita. Per quanto riguarda l’allenamento, tale valore va da un minimo di 3,7 ad un massimo di 11,4 infortuni ogni 1000 ore di allenamento (Daniel Pfirrmann et al. 2016).
Quali sono gli infortuni più comuni nel calcio?
Questa systematic review ha analizzato anche le diverse tipologie di infortunio che hanno colpito i giovani calciatori d’élite.
Includendo sia infortuni da contatto che non da contatto, e si è potuto constatare come gli infortuni maggiori sono rappresentati da strappi muscolari, distorsioni e contusioni (Daniel Pfirrmann et al. 2016).
Le Gall et al., nel 2006, hanno constatato che la maggior parte degli infortuni in giovani calciatori d’élite colpisce la coscia, ed inoltre che il picco di infortuni, nel corso delle stagioni da lui analizzate, si è avuto durante la fase precampionato.
Altri autori, invece affermano che la maggior parte degli infortuni colpisce la gamba, ed in maniera particolare le zone di ginocchio e caviglia. Inoltre, si è potuto vedere come le fratture rappresentano solo una piccola parte degli infortuni totali (Le Gall F. et al. 2006).
Quando avvengono maggiormente?
Le conclusioni di questa systematic review dimostrano come, sia per quanto riguarda i calciatori professionisti che per i giovani calciatori d’élite, la percentuale di infortuni risulta essere maggiore nelle partite rispetto agli allenamenti.
Pertanto, risulta essere necessario cercare di ridurre al minimo l’incidenza di infortunio durante le partite tramite interventi preventivi mirati ed individualizzati e protocolli di riduzione rischio infortunio durante gli allenamenti.
E’ possibile prevenire gli infortuni nel calcio?
Questa questa systematic review pone il focus sulla riduzione degli infortuni specialmente in età giovanile, in maniera particolare su quelli non da contatto, i quali possono essere maggiormente “controllabili” da preparatore e staff.
Questo a differenza dagli infortuni da contatto o traumatici nei quali i fattori di rischio risultano essere molteplici e spesso non controllabili (Daniel Pfirrmann et al. 2016).
La UEFA definisce l’infortunio come “un evento lesivo verificatosi durante una sessione di allenamento programmata o una partita che ha causato l’assenza alla successiva sessione di allenamento o partita” (Hägglund M et al.2005).
L’infortunio da non contatto
L’infortunio non da contatto è la lesione più comune nel calcio d’élite e il carico influenzerà principalmente questo tipo di lesione. Perciò sono state sviluppate da alcuni ricercatori delle metodiche per poter calcolare quello che può essere il rischio di infortunarsi (Stares J et al. 2018).
Una delle “tecniche” più utilizzate negli ultimi anni per prevedere il rischio di infortuni è il metodo dell’ Acute Chronic Workload Ratio.
Acute:chronic workload ratio
Gli atleti d’élite sono esposti a carichi di allenamento sempre più elevati, a calendari saturi di impegni e a periodi di riposo e recupero molto brevi.
Tim Gabbett, nel 2015, propone a tutta la comunità scientifica, ma anche a tutti gli allenatori e preparatori fisici, un indice basato sul carico di lavoro in grado di essere, a detta dell’autore, un buon marker per la riduzione di rischio infortunio (T.J. Gabbett et al. 2017).
In maniera particolare, negli ultimi anni, si è sviluppato un metodo di monitoraggio del carico di lavoro che ha maggiormente guadagnato popolarità a causa della sua versatilità. Tale modello proposto da Gabbett è comunemente chiamato Acute:Chronic Workload Ratio (T.J. Gabbett et al. 2017).
Infatti, la manipolazione casuale di volume, intensità, frequenza nel processo di allenamento può essere spesso causa di infortuni, overtrainig e condizione psicofisica non stabile.
In cosa consiste
Questo indice, secondo Gabbett, permette così una valutazione immediata dell’atleta, definendo settimana per settimana lo stato di adattamento ai carichi allenanti e la possibilità di avere un infortunio non da contatto.
Il lavoro di Gabbett riprende il “Fitness-Fatigue Model” proposto da Banister, e cerca la quantificazione di questo modello in termini numerici, che vengono forniti dal rapporto tra carico acuto e carico cronico.
Si definiscono così quindi:
- Carico Acuto: carico di lavoro eseguito da un atleta in una settimana (7 giorni).
- Carico Cronico: carico di lavoro dato dalla media del carico di allenamento che un atleta ha
maturato durante 4 settimane (28 giorni).
Nell’articolo dedicato all’ACWR spiegheremo nel dettaglio in cosa consiste il metodo di Gabbet.