Il digiuno intermittente e lo sport

Il digiuno intermittente è una pratica alimentare che prevede di concentrare la "finestra di alimentazione" in un numero ridotto di ore. Questo apporterebbe numerosi benefici legati al rinnovamento cellulare. Quali sono i reali benefici?
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Parlare di “digiuno intermittente” significa, in realtà, descrivere una serie di approcci alimentari anche differenti tra loro.

Il principio che li accomuna è quello di prevedere, all’interno della giornata, una fase di restrizione (quasi sempre totale) dall’alimentazione.

Al contrario avremo invece una fase ristretta, la cosiddetta “finestra di alimentazione”, in cui potremo nutrirci.

 

Introduzione al digiuno intermittente

 

Contrariamente a quanto si può pensare, il digiuno intermittente non è assolutamente pensato per essere un approccio alimentare “restrittivo”. Con ciò, intendo dire che l’IF (intermittent fasting) si può utilizzare sia in un approccio ipo-, normo-, o iper-calorico.

Quello a cui si deve pensare, ragionando su questo modello, è il concetto di una fase di “iper-alimentazione programmata”, relativamente breve. A questa, si alterna un momento più lungo durante la giornata in cui non si assumono nutrienti.

Attenzione però, a non fraintendere ulteriormente. Iper-alimentarsi non significa nemmeno mangiare ad libitum, o oltre quello che dovrebbe essere previsto. In realtà, è semplicemente uno spostamento dei macronutrienti, e quindi una ripartizione calorica, in una finestra ridotta.

 

 

Il digiuno “benefico”

 

Il concetto interessante che recentemente alcuni autori hanno avuto il pregio di far passare, è quello di digiuno inteso come un approccio benefico. A differenza di alcuni approcci malsani, in cui si suggeriscono dei “wash out” di diversi giorni (anche 10 o 20…) con conseguenze ovviamente negative sullo stato di salute, il digiuno intermittente non è pericoloso.

Il digiuno viene messo in pratica fin dalle origini dell’umanità. Pensiamo alle pratiche religiose, come il ramadan o ad alcuni giorni della quaresima, ma anche agli uomini primitivi. Questi ultimi infatti, erano “costretti” in un certo senso, a fasi di digiuno più o meno lunghe che dipendevano semplicemente dalla disponibilità o assenza di cibo.

Oggi sappiamo che, in linea di massima, un periodo di digiuno dalle 12 alle 24 ore (in media se ne consigliano 16), non è assolutamente dannoso per l’organismo. Anzi, sono numerosi gli aspetti benefici di cui parleremo nei prossimi paragrafi.

 

I principi del digiuno intermittente

 

Il principio fondamentale alla base di qualsiasi protocollo di digiuno intermittente è quello dell’autofagia. Assieme ad esso, dobbiamo conoscere la biochimica dell’invecchiamento e della longevità. Perchè non parliamo di dimagrimento?

Come sappiamo, in molti si approcciano a questo regime alimentare proprio con l’obiettivo di migliorare la propria composizione corporea, dimagrire o aumentare la massa muscolare. Partendo da questo elemento, e cavalcandone l’onda molti “esperti” si sono lanciati su teorie (vere o fasulle) che riguarderebbero il digiuno intermittente.

Tra queste, che l’IF faccia dimagrire o aumenterebbe il potenziale di acquisizione di massa muscolare. Oppure, che sia il sistema “naturale” di alimentazione dell’uomo, visto che così ci siamo alimentati per milioni di anni.

 

I reali vantaggi dell’IF

 

Tralasciando i falsi miti, ci sono certamente alcuni aspetti per i quali, in determinati soggetti, il digiuno intermittente può rivelarsi una scelta vincente.

Non è necessario organizzare un numero elevato di pasti al giorno. Questo può essere difficoltoso per chi ha poco tempo per cucinare o, per esempio, per chi ha difficoltà a fare colazione la mattina. Questo infatti costituisce un secondo punto molto interessante, che approfondirò più avanti.

l’IF è applicabile a tutte le diete. Non essendo infatti esso stesso una dieta, ma solo un principio di suddivisione dei pasti, può essere applicato in tutte le condizioni. Come dicevamo prima, il digiuno intermittente si può svolgere in ipo-, normo- o iper-calorica. Si può fare tutti i giorni della settimana, o solo in alcuni (magari, quando si ha meno tempo per cucinare o non possiamo portarci i pasti da casa).

 

Il digiuno intermittente è “naturale”?

 

Pensandoci bene, sino a poche centinaia di anni fa, parlare di digiuno intermittente non era altro che constatare una cosa “normale”. La disponibilità che noi abbiamo oggi di cibo, acqua (e molte altre cose che diamo per scontate) era del tutto impensabile.

Anche se per noi è difficile pensare di rimanere senza assumere cibo per più di qualche ora, il corpo umano si è evoluto per resistere a periodi molto più lunghi di “magra”. Ciò avviene grazie alla regolazione di uno degli ormoni più importanti, ossia l’insulina. Ciò che succede è che sviluppiamo una sorta di resistenza ad essa.

Anche se ne diamo sempre un’accezione negativa, quello dell’insulino-resistenza è un meccanismo adattativo che permette all’uomo di sopravvivere a fasi di digiuno prolungate. Senza spiegare nel dettaglio i processi, ciò che è avviene è semplicemente un maggior utilizzo di grassi a scopo energetico in momenti in cui la presenza di glucosio nel sangue è davvero ridotta, e deve essere utilizzata da quegli organi cosiddetti “insulino-dipendenti”. Fra questi sappiamo esservi il sistema nervoso centrale.

 

L’importanza della flessibilità metabolica

 

Oggi il meccanismo di insulino-resistenza assume una connotazione negativa, in quanto conseguenza non tanto di restrizioni, ma sovrabbondanza cronica di un determinato nutriente, i carboidrati.

La flessibilità metabolica è un altro aspetto molto importante in questa argomentazione e la spiegheremo in breve. Essa è la capacità dell’organismo di passare da una fonte di combustibile ad un altra. La sua incapacità all’opposto è detta inflessibilità.

Soggetti obesi, o con diabete di tipo 2, sono spesso metabolicamente inflessibili, in quanto insulino-resistenti. I magri, all’opposto, passano dall’utilizzo (prevalente) di grassi e carboidrati in maniera più rapida, in base alla condizione presente. Ciò significa un migliore utilizzo dell’insulina.

 

Per fare l’IF bisogna astenersi da qualsiasi alimento?

 

Sembra una domanda sciocca ma questo concetto deve essere spiegato. Molto spesso si sente dire che si sta praticando il digiuno intermittente, pur quando esso viene “interrotto” dall’assunzione di alcuni nutrienti. Le proteine, magari con lo shaker di whey, o i grassi, attraverso l’assunzione di frutta secca.

Leggermente più subdole, sono le teorie che vorrebbero far “passare” i BCAA o gli EAA come elementi da poter assimilare durante le fasi di digiuno intermittente. Beh, non è così. Il digiuno intermittente, per essere vero, deve essere totale. Solo acqua… e caffè (ma non troppo!).

E’ vero che tutto ruota attorno all‘insulina, e che il macronutriente in grado di stimolarla maggiormente sono i carboidrati. E’ altresì vero, però, che tutti i macronutrienti hanno un potenziale effetto sui livelli di questo ormone. Inoltre, assumere quantità più o meno elevate durante il giorno di proteine e/o grassi, di fatto sarebbe come simulare una sorta di chetogenica durante determinate fasi del giorno.

 

Tipologie di digiuno intermittente

 

Come abbiamo detto, in letteratura quando si parla di digiuno intermittente, ci si riferisce ad un’ampia varietà di strategie alimentari. Alcune di esse, meno integraliste, prevedono un digiuno “incompleto”, o solo in alcune fasce orarie più o meno brevi. Altre si spingono fino a giornate intere.

In linea generale possiamo distinguere due macro-categorie:

  • Restrizione calorica intermittente. Sono protocolli che prevedono una restrizione calorica con l’introduzione di giorni/fasi di digiuno o semi-digiuno.
  • Alimentazione in una finestra ristretta. Protocolli caratterizzati dalla suddivisione della giornata in una fase di iper-alimentazione ed un altra di digiuno. Queste sono generalmente 15-9, 16-8, o 20-4.

 

La restrizione calorica intermittente

 

In questa categoria rientrano tutti quei protocolli che prevedono l’alternanza entro una finestra, di solito settimanale, di giorni a calorie più alte/normali, e giorni di digiuno completo o fortissima restrizione calorica.

Alla base di questo principio però c’è una volontà: quella di creare entro la finestra di tempo, un deficit calorico. Esso può essere fatto attraverso 2-3 o 4 giorni di restrizione/digiuno e la restante parte di normo-calorica. Ma le modalità sono veramente numerose.

L’alternate day fasting è forse la modalità più conosciuta e prevede l’esecuzione di “semi-digiuni” riducendo le calorie del 70-80%  in uno o più giorni all’interno di una settimana. Non riusciamo ad entrare nello specifico di ogni protocollo, ma principalmente alla base della scelta di questi protocolli vi sono due idee. La prima, è quella di creare un deficit importante, pur mantenendo la percezione di mangiare, lasciando delle giornate a calorie “normali”. La seconda, è quella di ritardare gli adattamenti metabolici derivanti da una ipo-calorica prolungata.

 

Alimentazione in una finestra ristretta

 

Questi protocolli non prevedono giorni interi di ipo-alimentazione. Vi saranno invece momenti all’interno della giornata in cui non ci si alimenterà, e altri in cui si “recupererà” quanto non assunto precedentemente. Questi protocolli sono forse più semplici, in quanto non abbiamo giornate intere di ipo-alimentazione. Basterà semplicemente saltare uno o più pasti all’interno della giornata.

La domanda più importante a cui dovremmo cercare di rispondere è la seguente: dopo quante ore si osservano gli effetti benefici del digiuno? Generalmente, si fa corrispondere questo valore a 16 ore di digiuno. Abbiamo già accennato, e non approfondiremo, i processi fisiologici alla base delle teorie sul digiuno intermittente. Essi sono quelli dell’autofagia e del rinnovamento cellulare. Sulla perdita di peso invece, sappiamo che tutto ciò che conta, è un deficit calorico costante. E da qui non si scappa.

I protocolli più famosi di digiuno intermittente in questa categoria sono quello del “leangains”, che prevede 16 ore di digiuno e 8 di iper-alimentazione, e quello della “warrior diet”, ossia 20 ore di digiuno e 4 di iper-alimentazione.

Entrambi hanno delle “regole” più o meno precise su come affrontare queste due fasi, soprattutto quella di iper-alimentazione, ma non è obiettivo di questo articolo argomentarle.

 

Digiuno intermittente e sport: un connubio possibile?

 

Mi piacerebbe rispondere diversamente da come faccio sempre ma… dipende! Dipende dalla disciplina, dipende dagli orari in cui ci si allena, dipende da quanti allenamenti si svolgono, e soprattutto da quanto tempo c’è per recuperare tra una competizione (o allenamento) ed un altro.

In questo primo paragrafo ho già detto e spiegato tutte le perplessità circa un protocollo alimentare che in linea teoria è molto valido, sia in termini di versatilità che fisiologici. Tuttavia, è evidente come non possa essere applicato a qualsiasi sportivo.

Anche se è vero che tra gli effetti di adattamento principali del digiuno intermittente c’è un aumento della capacità di uptake di sostanze (tra tutte glucosio) nei muscoli post-assunzione di cibo, in alcuni casi questo diventa semplicemente impossibile. Tra questi, quelli più importanti sono:

  • numero di calorie molto alto. E’ difficile introdurlo in una finestra estremamente ridotta.
  • 2 o più allenamenti giornalieri. Dopo quale dei due si dovrebbe mangiare?
  • più di una competizione alla settimana. Aggiungendo anche gli allenamenti, è troppo importante privilegiare il recupero e tra le strategie, assieme al sonno, quella nutrizionale è la più importante.

 

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